A Sanremo il Festival Nazionale del Risotto Vista Mare
Cinquanta diversi risotti saranno preparati dal 9 al 13 ottobre al Palafiori di Sanremo in occasione del ‘Festival nazionale del Risotto italiano vista mare’, l’appuntamento che mette al centro il riso Dop (quello cioè dell’alto Piemonte e del Ponente ligure), l’ unica eccellenza in tutta Europa che può vantare questa denominazione. Sette gli chef che si alterneranno affiancati da sette produttori in sette differenti postazioni allestite per l’occasione.
Gli ingredienti utilizzati per preparare i 50 risotti (classici, del territorio ma anche d’autore e creativi), saranno reperibili direttamente negli stand del Festival. La qualità dei risotti preparati ‘in diretta’ così che i presenti possono imparare oltre alle ricette anche le tecniche ed i ‘trucchi’ per preparare, sui fornelli di casa, il miglior risotto. La qualità e la bontà dei primi piatti saranno certificate da un testimonial d’eccellenza, il giornalista enogastronomico Edoardo Raspelli.
Il Festival è ad ingresso gratuito ed il Palafiori (corso Garibaldi, 1 Sanremo) è aperto al pubblico dalle 18 alle 24 nei giorni feriali e dalle 11 alle 24 il sabato e la domenica. Dopo la tappa sanremese il ‘Festival nazionale del risotto italiano’ farà tappa a Biella dal 26 ottobre al 3 novembre.
PRODUZIONE RISICOLA – L’Italia con 200.000 ettari di risaie è il maggior produttore di riso d’Europa, seguito da Spagna (114.700 ettari), Portogallo (23.000 ettari), Grecia (20.000 ettari), Francia (18.700 ettari).
Il novanta per cento della produzione risicola italiana è concentrato nelle province di Biella, Vercelli, Novara e Pavia. L’economia del riso rappresenta una delle principali ricchezze per un’area ad alta concentrazione e diversificazione economico-produttiva. E’ dunque la prima provincia risicola d’Europa, e una delle prime al mondo. Il comparto si avvale di ingenti finanziamenti europei, e di una particolare attenzione da parte dell’Europa.
LE ORIGINI DEL RISO – Le origini del riso non sono certe. Sembra che le varietà più antiche siano comparse oltre quindicimila anni fa lungo le pendici dell’Himalaya. Fu durante l’Impero Persiano che il riso si propagò verso l’Asia occidentale e poi si estese in altre direzioni. Il mondo classico mediterraneo conobbe questo cereale dopo la conquista dell’Asia da parte di Alessandro Magno. Teofrasto, contemporaneo del condottiero, fu il primo a descriverlo nel suo trattato sulla storia delle piante. Ne parlò come di un cereale che cresceva in acqua per lungo tempo e i cui semi erano particolarmente idonei ad essere bolliti per soddisfare le esigenze alimentari dei popoli dell’Asia. Anche se tutt’oggi resta un mistero come il riso sia arrivato in Occidente, si presume che la “Porta” di Alessandria d’Egitto possa essere stata il suo varco d’accesso.Durante quasi tutto il Medioevo questo cereale venne comunque considerato nel centro-nord della penisola una delle molte spezie che giungevano dall’Oriente con le navi arabe, genovesi e veneziane. Erano gli speziali a vendere il riso, assieme a droghe o prodotti esotici d’importazione.
MARE A QUADRETTI – Nel ‘400 una qualche coltivazione di riso era presente in Toscana, nelle zone umide e lungo i torrenti dell’Appennino, e poi in Valle Padana. Dopo la metà del secolo Mastro Martino proponeva una preparazione che rappresentava un tratto di unione fra l’uso medievale del riso sotto forma di farina, e il suo uso moderno come pietanza singola.
Alla fine del XV secolo la coltivazione risicola arrivò nel nord Italia, esattamente in Lombardia e Piemonte, nell’area dell’attuale vercellese, dove le prime risaie, definite mare a quadretti, furono impiantate ad opera di Ludovico il Moro e di suo fratello Galeazzo Sforza, che pensarono di sfruttare le frequenti inondazioni del Po per questa coltura.
Nel Cinquecento il riso entrò al pari del mais, nella schiera dei nuovi alimenti con i quali placare la fame contadina.
Durante il XVII secolo la coltivazione del riso conobbe un’involuzione soprattutto a causa di polemiche sull’igiene ambientale. I medici accusavano questo cereale di portare la malaria (la cui vera colpevole era la zanzara), cosicché i coltivatori venivano obbligati a tenere le risaie a sei miglia dai centri abitati, pena multa e galera. Il riso, alimento di facile digeribilità, tornò poi di nuovo in auge nel Settecento, conquistando per la prima volta nuove aree di coltivazione, come risposta alle gravi difficoltà alimentari popolari.
SULLE TAVOLE DEI NAPOLETANI – L’uso alimentare del riso in Italia è incominciato a Napoli, portato dagli spagnoli, o meglio dagli Aragonesi, nel XIV secolo. I napoletani cominciarono così a consumarlo come piatto unico: però non fu mai, per loro, unico quanto la pasta. Il riso arrivò presto al nord, dove peraltro già lo conoscevano come farmaco e come ingrediente per dolci e favorito anche dall’abbondanza d’acqua, per lui indispensabile per crescere bene si affermò soprattutto nel settentrione d’Italia.
LEGGENDA DEL RISOTTO ALLA MILANESE – Il primo risotto che è anche il più noto è il risotto alla milanese. La sua origine non è un giallo, è una leggenda. Il colore dipende dallo zafferano, pianta i cui fiori sbocciano in ottobre. La parte superiore dei pistilli (lo stimma) contiene una sostanza oleosa e aromatica. Gli stimmi vanno essiccati e macinati, fino a ricavarne una polvere gialla, un po’ amara e un po’ piccante. In Italia lo zafferano si coltiva negli Abruzzi e in Sardegna. In Europa lo producono la Spagna e la Grecia, nel mondo le maggiori piantagioni di zafferano si trovano in India e in Iran. L’intera lavorazione dello zafferano è manuale. Per fare un chilo di zafferano si devono raccogliere 150.000 fiori, e ci vogliono 500 ore di lavoro. Lo zafferano si impiega in cucina ma anche in chiesa. O per lo meno c’è entrato in passato. E proprio la Chiesa ha dato vita al risotto alla milanese. A partire dal 1385 cominciarono a giungere a Milano artisti, architetti, artigiani, muratori, pittori, vetrai. Per dare il loro contributo alla Fabbrica del Duomo. Tra i convenuti c’era un fiammingo di Lovanio, tal Valerio Perfundavalle, di professione pittore di vetrate. Per conferire ai suoi gialli un tocco di brillantezza in più, Perfundavallle impiegava lo zafferano. A Milano si lavorava sodo fin d’allora, e lo stacco per il pranzo era piuttosto breve.
Il pittore pertanto si riduceva a mangiare un po’ di riso dalla “schiscetta”, sul suo ponteggio sospeso tra terra e cielo. Un bel giorno, causa un movimento maldestro, un po’ dello zafferano che serviva per le vetrate finì nel riso. Perfundavalle esitò un istante. Poi l’assaggiò e gli piacque molto. La voce si sparse e lo zafferano passò in cucina.
UN “RISUS OPTIMUS”! – Un umanista, assaggiando questo singolare riso giallo, pare abbia esclamato: “Risus optimus!” La “cottura a risotto” è una tecnica tutta italiana. Siamo stati noi italiani a rendere famoso il risotto. Nel 1791 il risotto in Piemonte era già un piatto tradizionale, anche se soltanto del bel mondo: i Savoia erano soliti farlo servire a mezzanotte, durante i ricevimenti che davano nei loro bei palazzi torinesi. A codificare il risotto così come lo intendiamo oggi fu un cuoco di cui conosciamo soltanto le iniziali: L.O.G.. Si deve a Pellegrino Artusi però la classificazione dei risi in base alla cottura. Il risotto dev’essere cucinato in casseruola, con un soffritto al quale va aggiunto, poco per volta, del brodo. Il suo imprimatur come capolavoro dell’arte culinaria italiana reca la firma di Auguste Escoffier.
PREPARAZIONE DEL RISOTTO – Il risotto è anche uno dei piatti più impegnativi e, più lunghi da preparare. Ecco cosa serve: la casseruola deve essere abbastanza larga, con i manici, e il bordo non più alto di 4 – 5 centimetri, meglio se di rame. Il cucchiaio deve essere di legno per non rischiare di rompere il chicco. Quello con il buco al centro è l’ideale. La mondatura: anche se oggi i prodotti sul mercato sono sempre più curati, è meglio dare un’occhiata per eliminare i chicchi rotti o quelli che presentano qualche macchia. La dose normale di riso è di 80 grammi a persona. Il soffritto: la tostatura è fondamentale. Far friggere la cipolla a fiamma viva con un po’ di burro senza farla bruciare. Quando incomincia ad appassire si unisce il riso, si tosta e si spruzza con vino bianco mescolando fino a quando i chicchi incominciano a sfrigolare. A questo punto si versa il brodo e inizia la cottura. I tempi di cottura. Variano a seconda delle qualità e delle varietà. Parlando di “superfini” al vertice della gamma e ideali per risotti abbiamo l’Arborio, il Carnaroli, il Violone nano e il Sant’Andrea che richiedono 16 – 17 minuti di cottura. La mantecatura. Il riso portato a fine cottura va fatto riposare, almeno due minuti mescolandolo delicatamente con un po’ di burro, e parmigiano, in modo che i chicchi si stacchino bene uno dall’altro.