Malvasia di Candia brinda a Cavallo di Leonardo

Malvasia 6 presidente consorzio vini colli piacentini spiega“La Malvasia di Candia aromatica dei colli piacentini è unica. Basti pensare che in Italia ne esistono 17 varietà che nascono su 850 ettari di terreno. Ebbene, 700 di questi ettari sono in provincia di Piacenza. Il vino che degustiamo oggi sarebbe piaciuto di sicuro anche a Leonardo”.
Roberto Miravalle, presidente del Consorzio di tutela dei vini Doc dei colli piacentini, ha presentato così i vini dei Sette Colli di Ziano che hanno fatto da cornice all’inaugurazione del Cavallo di Leonardo esposto in piazza Città di Lombardia.

Alla degustazione, ospitata presso Albar hanno partecipato l’assessore regionale alle Culture, Identità e Autonomie della Lombardia Cristina Cappellini, il sindaco di Vinci Giuseppe TorchiCavallo Leonardo Cappellinia, il sindaco di Ziano Piacentino, Manuel Ghilardelli, gli sponsor Giandomenico Auricchio (Auricchio S.p.A.), Umberto Montani (Fagioli S.p.A), il presidente di Infrastrutture Lombarde Paolo Besozzi e i titolari delle aziende che hanno proposto la Malvasia di Candia.

IL VINO DI LEONARDO – In particolare, dopo anni di studi e ricerche, gli esperti hanno convenuto che il ‘vino di Leonardo’ è la Malvasia di Candia Aromatica, il clone del ‘vino di Leonardo’ che più si avvicina a quello che il Genio coltivò, a Milano, nei giardini alle spalle del Borgo delle Grazie.

DONO DI LUDOVICO IL MORO – “Gliela donò Ludovico il Moro nel 1498 – spiega l’assessore regionale Cristina Cappellini – nel periodo in cui dipinse l”Ultima Cena’ nel refettorio di Santa Maria delle Grazie. Era una vigna di circa 16 pertiche, rettangolare, larga 60 metri e profonda 175 metri, estesa quindi per poco più di un ettaro”.

cavallo leonardo produttori

I PROMOTORI – La degustazione di Malvasia di Candia Aromatica è stata proposta in collaborazione con le associazioni interregionali di giornalisti agroambiente e food Arga Lombardia Liguria e Arga Emilia, delegazione di Piacenza, presenti l’azienda agricola Mossi di Ziano Piacentino, la Cantina sociale di Vicobarone (Pc) e la Tenuta ‘La Ferraia’, tutte con terreni in Valtidone (Pc).

‘Il Cavallo di Leonardo’ è opera della scultrice statunitense Nina Akamu. Si ispira ai famosi disegni preparatori che Leonardo, realizzò a partire dal 1482, su proposta di Ludovico il Moro Duca di Milano, allo scopo di costruire la più grande statua equestre del mondo dedicata a Francesco Sforza: impresa colossale, non solo per le dimensioni previste della statua, ma anche per l’intento di scolpire un cavallo nell’atto di impennarsi e abbattersi sul nemico.

ALLA CORTE DI LUDOVICO IL MORO – Questo progetto non si concretizzò né allora né nel 1506, quando Leonardo, tornato a Milano, ebbe un successivo incarico dal Trivulzio per realizzare la sua tomba monumentale sormontata da una statua equestre bronzea. Cinque secoli dopo, a partire dal 1977, gli statunitensi Charles Dent prima e, alla sua morte, Frederik Meijer ripresero e finanziarono il progetto, con l’obiettivo di realizzare il sogno di Leonardo.

L’IMPEGNO DEGLI USA – La scultrice Nina Akamu, incaricata del progetto, realizzò due cavalli: uno per Milano, che fu posto nel settembre 1999 all’ingresso dell’ippodromo di San Siro, e uno per il parco naturale e artistico a Grand Rapids (Michigan), proprietà di Meijer, dove sono raccolte all’aperto copie delle statue moderne più celebri.

LE TRE STATUE NEL MONDO – Una copia esatta di questi due cavalli, in scala ridotta (2,5 metri), è stata donata dall’artista americana alla città di Vinci e collocata nella piazza del comune toscano. Da oggi e per sei mesi è ammirabile in piazza Città di Lombardia.

TRE GRANDI SPONSOR – L’operazione è stata resa possibile grazie a tre sponsor: Auricchio spa, Fagioli spa e Infrastrutture Lombarde spa.

Le Cantine Mossi 1558, Cantina sociale di Vicobarone, La Ferraia e Molincavallo leonardo sommelierelli di Ziano hanno illustrato agli ospiti le caratteristiche dei loro vini con l’aiuto del sommelier Massimo Morelli.
Di particolare interesse la ricostruzione del prof Roberto Miravalle, Coordinatore del Master “Gestione del Sistema Vitivinicolo” della Facoltà di Agraria dell”Università degli Studi di Milano e componente del team che ha rimpinzato la Vigna di Leonardo nella casa degli Atellani, antica dimora regalata all’artista e scienziato da Ludovico il Moro.

Oltre alla Malvasia, secca e dolce, le cantine piacentine hanno servito anche gli inimitabili Gutturnio e Ortrugo, accompagnati da coppa, salame e mostarde Mossi di Malvasia e pesche e di Mela e zucca e Aceto balsamico deposte sopra Grana Padano. Consenso generale per i profumi e i gusti. Soddisfatti Roberto Manara (La Ferraia), Alberto Bossi (Cantina sociale di Vicobarone) e Marco Profumo (Azienda Mossi), la cui Malvasia Rosa ha stupito. Questo vino, nato un paio di anni fa, è il risultato di una lunga ricerca fatta dalla Cantina Mossi con Mario Fregoni, ordinario di Viticoltura alla Cattolica di Piacenza, il quale è riuscito a stabilizzare una mutazione genetica scoperta in passato.

L’AMORE DELLA SUA VITA – Lo scienziato-artista non smise mai di occuparsi della sua vigna, dono di Ludovico il Moro, al punto che la riconquisterà quando i Francesi gliela confischeranno. Nel 1519, in punto di morte, la citerà nel testamento: ne lascerà una parte a un servitore e un’altra parte proprio al Salaì.

LA RISCOPERTA – Quattrocento anni dopo, nel 1919, l’architetto Piero Portaluppi avvia il cantiere della trasformazione di Casa degli Atellani. L’architetto Luca Beltrami, grande storico di Leonardo, studia sui documenti d’epoca le precise dimensioni e la possibile posizione della vigna e riesce a fotografarla, miracolosamente ancora intatta, in fondo al giardino di Casa degli Atellani.
L’enologo Luca Maroni autore ed editore dell’annuario dei migliori vini italiani, dopo undici anni di lavoro è riuscito a ritrovare e reimpiantare in Milano l’originaria vigna di Leonardo da Vinci con viti identiche alle originali, rinvenute nel 2008 insieme al Gruppo scientifico di lavoro dell’università di agraria di Milano, diretto dal Professor Attilio Scienza.

DAI RESTI DI UN INCENDIO – La ricostruzione è stata possibile grazie ad un clone della Malvasia di Candia coltivato dal Consorzio di tutela dei vini doc dei colli Piacentini. L’enologo venne a sapere nel 1999 della vigna donata da Ludovico il Moro a Leonardo nel 1498. Nel 2004 iniziarono i lavori di ricerca che portarono a identificare l’ultima parcella superstite del vigneto di Leonardo.
Nonostante il tentativo di salvare il prezioso giacimento storico e culturale da parte del Portaluppi nel 1920, i filari vennero distrutti dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. L’enologo Maroni, durante il primo sopralluogo, scoprì il punto preciso dove era piantata la vite che risultò bruciata a seguito di incendio.
Maroni ipotizzò che le radici originarie potevano essere rimaste nel terreno e con l’aiuto dell’allora sindaco Letizia Moratti, assunse la direzione del tavolo di coordinamento tecnico -scientifico per il recupero del vigneto di Leonardo.

vigna LeonardoSTUDI SCIENTIFICI – Chiese l’appoggio dell’università statale e del professor Attilio Scienza, uno dei massimi esperti viventi di vite nel mondo che ha operato a lungo anche a Piacenza.
Scienza chiamò due dei suoi allievi: il podologo Rodolfo Minelli e la genetista Serena Imazio. Iniziarono gli scavi ed i residui vegetali trovati ancora vivi e interrati nel sito originale erano della vite di Leonardo.
Nell’ottobre 2013 Piero Castellini scrisse a Maroni di voler ridar vita al vigneto di Leonardo reimpiantandolo nella Casa degli Atellani in maniera filologicamente identica all’originale. L’impresa fu finanziata dalla fondazione Piero Portaluppi. Ripresero i lavori e si arrivò all’identificazione del dna della vite di Leonardo, la Malvasia di Candia Aromatica. A questo punto l’ultimo obiettivo era quello di individuare la specie, il clone di Malvasia di Candia Aromatica ancora esistente geneticamente più conforme alla nativa ritrovata.

malvasiaCOMPARAZIONE DEL DNA DELLA VITE – La genetista Serena Imazio comparò il dna della vite originaria di Leonardo con quello di tutte le Malvasia di Candia coltivate oggi in Italia ed individuò le più rilevanti aderenze genetiche con un clone della Malvasia di Candia piacentina.

UN VINO DI ORIGINI GRECHE CHE HA GIRATO IL MONDO – La Malvasia era un vino proveniente dal Peloponneso, da Rodi e soprattutto da Creta, dove era chiamato ‘Cretico’. Nel Medioevo il loro punto di raccolta e di partenza per l’esportazione divenne il porto di Monemvasia, città ancora oggi esistente nel Peloponneso. Da qui partivano le navi della Repubblica di Venezia che commerciava vino Cretico in tutto il Mediterraneo e nell’Europa del Nord, soprattutto dopo averne ottenuto nel 1248 la licenza esclusiva per il commercio.

MonemvasiaMONEMVASIA – Intorno al 1500 e nei due secoli successivi, divenne il vino più famoso d’Europa. La città di Monemvasia, diede il suo nome al vino, dolce e aromatico. Storpiato dai Veneziani prima in Malvagìa e poi Malvasìa. Nel 1463 Venezia espugnò Monemvasia ma nel 1540, dopo che i Turchi occuparono Creta, la Repubblica di Venezia favorì l’introduzione in alcune zone dei vari vitigni che, assemblati, davano il Malvasia, specie lungo le rotte navali che portavano alla città di San Marco e favorì la produzione di un vino con la medesima tecnica di vinificazione.

PRODUZIONE IN DIVERSI TERRITORI – Iniziò così la produzione di Malvasia anche al di fuori della Repubblica di Venezia: in tante isole greche, in Dalmazia, nel Sud della Francia, in Spagna, in Portogallo, e in molte regioni italiane.

L’UVA E IL VINO:CARATTERISTICHE – La Malvasia di Candia Aromatica è un’uva dotata di un corredo aromatico particolarmente ricco e complesso: ampio spettro di terpeni che donano aromi di arancio, cedro, limone, mandarino e rosa, oltre sentori di pesca, albicocca, frutti tropicali, pompelmo ma anche con un bouquet floreale (acacia, fresia, lavanda), note erbacee, salvia, note mielate, suggestioni speziate e, in taluni casi, fichi secchi, albicocca essiccata e canditi.

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