Approvata nuova Pac: le perplessità dell’assessore Fava. Da Bruxelles, l’inviato Arga Lombardia Sabrina Pinardi ripercorre le tappe della Politica Agricola Comune
di Sabrina Pinardi*
(Bruxelles, dicembre 2013) “The Eu shall have a common agricultural policy”. John McClintock, funzionario della Direzione generale agricoltura a Bruxelles, alza quella che lui considera la “bibbia” dell’Unione Europea, una raccolta, rilegata in pelle scura, dei trattati che negli anni le diedero la luce, e, citando i padri fondatori Jean Monnet e Robert Schuman, comincia il suo viaggio a ritroso nella Pac. Alla vigilia di una riforma già approvata, e pronta a diventare croce e delizia di più di un milione e seicentomila aziende agricole italiane.
IL CONTESTO STORICO – “Perché nella prima pietra dell’Unione – chiede McClintock – Monnet e Schuman si preoccuparono di mettere nero su bianco che l’Europa avrebbe dovuto avere una comune politica agricola, mentre per altri settori non si diedero tanta pena?” Erano gli anni ’50, i segni della guerra erano ancora visibili e i politici di allora sapevano che i rischi più grandi, per la società europea, erano soprattutto due: la fame e, al tempo stesso, la povertà nelle campagne. Lasciare l’agricoltura al libero mercato avrebbe significato correre entrambi quei rischi, a causa della volatilità dei prezzi dettata dalla bontà o meno delle annate agrarie. “Monnet e Schuman non erano più dei ragazzini – racconta McClintock – e avevano bene in mente la situazione degli anni ’30, quando gli agricoltori riuscivano a spuntare prezzi molto bassi per i loro prodotti e la povertà favorì l’espansione degli estremismi come il nazismo”. Se, quando le quantità sono troppo alte, i prezzi precipitano danneggiando chi lavora la terra, quando le produzioni scarseggiano i prezzi, al contrario, s’impennano, mettendo in crisi i consumatori: “Accadde in Olanda nell’inverno del 1944. Molti olandesi non potevano comprare il pane, e morirono di fame poco meno di 20 mila persone”.
CALMIERARE I PREZZI – Serviva, quindi, una quotazione base per le derrate agricole, che avrebbe consentito al prezzo di oscillare, ma senza mai salire o scendere oltre quel limite, stabilito dai politici. “Il prezzo doveva essere monitorato ogni giorno. Quando scendeva in modo eccessivo, bisognava acquistare la derrata sul mercato per farne diminuire l’offerta. I prodotti tolti dal mercato venivano stoccati e quindi reimmessi qualora si rivelasse necessario, al contrario, ritoccare verso il basso il prezzo”. Questa era l’essenza della politica agricola comunitaria disegnata negli anni Sessanta, che presto dovette cominciare a tenere conto di un’altra variabile: la quantità minima di cibo che doveva essere prodotta per sfamare l’intera collettività dell’Unione.
TRE DECENNI DECISIVI – Negli anni Sessanta si soddisfacevano per tre quarti i bisogni europei, mentre il resto veniva importato, soprattutto dagli Stati Uniti. Il mondo agricolo lo capì, coltivare la terra divenne molto redditizio e le quantità cominciarono a salire fino a raggiungere l’autosufficienza negli anni Settanta e, dopo la rivoluzione agricola, la sovrapproduzione degli anni Ottanta. Che costrinse l’allora Comunità Europea all’acquisto sul mercato di quantità sempre maggiori di cibo, poi stoccate nei silos, per evitare che i prezzi si abbassassero troppo.
ENTRA IN GIOCO LA PAC – Fino a quando, nel 1990, l’Europa non si accorse che serviva una riforma. Inizialmente si pensò di ridurre il prezzo base, ma la mossa non fu gradita agli agricoltori, che a quelle condizioni rischiavano la bancarotta. Il clamore delle loro proteste portò a un’altra soluzione: sussidiare gli agricoltori, pagarli per mantenere la produzione entro certi limiti. Un sistema che all’Ue costa 50 mila miliardi di euro, pari a un terzo del budget dell’Unione e allo 0,5% del valore dell’economia europea.
RISORSE UE PER ATTRARRE GIOVANI AGRICOLTORI – Un investimento eccessivo? “Dipende dai punti di vista. Grazie a queste politiche, abbiamo ottenuto la sicurezza alimentare e un’economia agricola vitale. Stiamo rispettando i trattati. Certo, non è un sistema perfetto, ma, del resto, nemmeno il libero mercato lo è”. Prima la scarsità di cibo, poi l’eccessiva abbondanza: per ogni epoca, la politica agricola comunitaria ha dovuto trovare una risposta ad hoc. Adesso la preoccupazione è un’altra ancora: “Il numero delle aziende agricole sta precipitando. E i giovani non sono più attratti da questo lavoro. La nuova Pac darà una risposta a questa nuova emergenza”.
APPROVATA PAC 2014 – Due settimane fa, il Parlamento ha approvato l’accordo raggiunto con il Consiglio sulla riforma della politica agricola europea. La nuova politica agricola comune (PAC) mira a preservare la tutela ambientale, garantire una più equa distribuzione dei fondi UE e aiutare gli agricoltori ad affrontare meglio le sfide nel mercato. “Si tratta della prima vera riforma della politica agricola europea, decisa di comune accordo dai ministri e dai deputati direttamente eletti. In questo cammino lungo e impegnativo, il Parlamento ha fatto grandi miglioramenti. La nuova PAC sarà più equa e legittima, garantirà un migliore equilibrio tra la sicurezza alimentare e la tutela dell’ambiente e preparerà meglio gli agricoltori ad affrontare le sfide del futuro”, ha affermato il presidente della commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale Paolo De Castro.
EQUA DISTRIBUZIONE DEI FONDI UE – Per garantire che i pagamenti diretti siano destinati agli agricoltori in attività, i deputati hanno convinto il Consiglio a redigere un elenco di entità, come aeroporti o club sportivi, in modo tale che questi siano automaticamente esclusi dal finanziamento dell’UE, a meno che l’agricoltura non contribuisca al reddito.
ATTENZIONE AI NEO IMPRENDITORI AGRICOLI – Il Parlamento ha reso obbligatorio un sistema per fornire ai giovani agricoltori un ulteriore 25% in più nei pagamenti aggiuntivi per i primi 25-90 ettari. I piccoli agricoltori potrebbero inoltre ricevere più soldi, mentre le aziende agricole maggiori che ricevono più di 150.000 euro, vedranno i loro contributi che superano tale soglia ridotti di almeno il 5%.
“Oltre a trasferire parte del denaro dalle grandi imprese agricole ai piccoli e giovani agricoltori, assicuriamo una migliore distribuzione dei fondi UE. Entro il 2020, gli agricoltori provenienti da diversi Stati membri dovrebbero ricevere almeno il 72% della media dei pagamenti diretti UE”, ha detto Luis Manuel Capoulas Santos, relatore della risoluzione sui i pagamenti diretti e lo sviluppo rurale.
POLITICA AGRICOLA PIÙ ECOLOGICA E SENZA DOPPIO FINANZIAMENTO – In base alla nuova politica agricola comune, il 30% dei bilanci degli Stati membri destinati ai pagamenti diretti possono essere spesi solo se le misure ecologiche ora obbligatorie, come la diversificazione delle colture, il mantenimento di prati permanenti e la creazione di aree ecologicamente orientate, sono rispettate.
Il “doppio finanziamento”, ovvero pagare due volte gli agricoltori per aver applicato le stesse misure per l’ambiente, non sarà consentito. Inoltre, chi non rispetta le misure ecologiche obbligatorie incorrerà in ulteriori sanzioni e perderà i nuovi sussidi “ambientali”, che saranno reintrodotti gradualmente nei primi quattro anni della nuova PAC.
“Concedere il tempo necessario agli agricoltori per prendere dimestichezza con le nuove norme è una questione di correttezza. Non saranno applicate sanzioni durante i primi due anni della nuova PAC e solo allora la quota dei cosiddetti pagamenti “verdi” trattenuti gradualmente aumenterà fino a un massimo del 25% “,ha detto Giovanni La Via relatore della risoluzione sul finanziamento, la gestione e il monitoraggio.
“Grazie ai nuovi strumenti per mantenere e promuovere le nuove economie rurali, incrementare la protezione ambientale e limitare il doppio finanziamento, i soldi pubblici saranno utilizzati per fornire beni pubblici per tutti”, ha detto Capoulas Santos.
AGRICOLTORI PIÙ FORTI E GESTIONE DELLA CRISI – Il Parlamento garantisce ulteriori strumenti per aiutare gli agricoltori ad affrontare la volatilità dei mercati e a rafforzare la loro posizione contrattuale. “Per esempio, il campo di applicazione dei settori in cui le organizzazioni degli agricoltori possono negoziare i contratti di approvvigionamento per conto dei loro membri, senza violare le regole di concorrenza, sarà ampliato. Le organizzazioni produttrici più avvantaggiate dovrebbero aiutare gli agricoltori a migliorare la loro situazione economica, obiettivo che non deve tradursi in cartelli” ha detto Michel Dantin, relatore della risoluzione sulla organizzazione comune dei mercati.
TAGLI DEL 55% SU PRIMO PILASTRO – “La scorsa settimana ho abbandonato il tavolo della Conferenza Stato-Regioni, perché contesto violentemente la ripartizione dei fondi” ha commentato l’assessore regionale all’Agricoltura, Gianni Fava, sabato scorso partecipando all’VIII Assemblea annuale delle imprese agromeccaniche di Confai a Bergamo. “La proposta di un delegato del ministro De Girolamo sul primo pilastro della Pac ci dice che i fondi per la Regione Lombardia passeranno dai 550 milioni attuali a 331 milioni. Questo significa un taglio del 55 per cento, se proiettati al 2019, con la modalità della convergenza interna. Inaccettabile”.
CONTOTERZISMO STRATEGICO – Dalla riunione della Conferenza Stato-Regioni, Fava ha portato una buona notizia per le imprese di meccanizzazione agricola. “La proposta del Ministero per la definizione di ‘agricoltore attivo’ – ha detto – è che basterà essere operatori agricoli iscritti alla Camera di commercio. Ma quando ho chiesto di aprire ai contoterzisti, ieri la risposta è stata ‘decisamente no'”. Per Fava “il contoterzismo è strategico per molte operazioni in campagna, ma serve una maggiore intesa”.
RAGIONARE PER AREE OMOGENEE – Quanto alle ‘aree omogenee’ citate da De Castro, Fava ha replicato: “Da sempre sostengo che sia necessario ragionare in termini di aree omogenee o di Macroregione agricola, che uniformi il territorio con le misure dei Programmi di sviluppi rurali. Non è una novità, bisogna agire, continuo a chiederlo. Anche perché sulla definizione della Pac siamo in ritardo. La Francia, la Germania, la Spagna hanno già definito le linee operative. Noi no”.
AIUTI ACCOPPIATI – In tema di ‘aiuti accoppiati’, la ricetta di Fava si avvicina a quanto deciso in Francia. “Se accoppiassimo sulla zootecnia potremmo recuperare parte del taglio del primo pilastro, ma devo essere messo nelle condizioni di poterlo fare”.
*Inviato al press trip organizzato a Bruxelles dalla Direzione Generale Agricoltura e Sviluppo Rurale della Commissione Europea