Bio: in Olanda fattoria ha scelto l’animal welfare, business cresciuto con il passaparola
dal nostro inviato a Bruxelles Luca Angelini*
Hilvarenbeek (Olanda) – Poi dicono che i contadini non sanno guardare al di là del loro orticello. Prendete Niek van den Broek. Agricoltore sì, ma con la cucina e il commercio, per così dire, nel Dna. Il bisnonno, fondatore più o meno un secolo fa della fattoria Boerderij’t Schop a Hilvarenbeek, nel Brabante olandese, durante la Seconda Guerra Mondiale, oltre ad allevare mucche, maiali, polli e a coltivare grano e patate, cuoceva il pane per tutto il vicinato. E il nonno Cees, abbandonata la produzione di latte perché avevano smesso di raccogliere i bidoni a domicilio e volevano obbligarlo a comprarsi un grande serbatoio refrigerato, si era dato al commercio di bestiame. Comprava cavalli e mucche nella zona di Kempen e li rivendeva, ogni mercoledì mattina, al mercato di Den Bosch.
LA SVOLTA BIO – Negli anni Ottanta, anche mamma Cécile e papà Jan intuiscono che cucina e commercio sono gli ingredienti migliori per far crescere l’azienda. Si buttano sull’allevamento di vacche da carne, vendendo quest’ultima direttamente in azienda. Costruiscono una nuova stalla e trasformano quella del nonno in un salone di ricevimento. Iniziano i corsi di cucina per famiglie e grandi gruppi, con i prodotti della fattoria.
ANIMAL WELFARE – Ma la rivoluzione non è finita: nel 1998 iniziano la conversione al biologico e nel 2000 arriva il certificato Eko. “Perché i miei sono passati al bio? Perché avevano a cuore l’animal welfare, il benessere animale” spiega serafico il giovane Niek, mentre accompagna a visitare la stalla noi giornalisti del viaggio studio promosso dalla Direzione agricoltura Ue. “Rimangono in stalla solo d’inverno. Per il resto dell’anno pascolano all’aperto, nei 300 ettari che gestiamo con altri agricoltori. Sono di razza Bionda d’Aquitania, la preferita da molti chef – spiega mostrandoci orgoglioso la sua ottantina di mucche -. E sono tutte femmine, perché crescono più lentamente e la carne è più buona. A proposito, a noi olandesi piace la carne magra, anche se so che questa cosa molti italiani proprio non la capiscono, perché dicono che serve il grasso, per dare il sapore”.
CARNE DI AGNELLO PRESIDIO SLOW FOOD – In Italia, Niek c’è stato.
Al Salone del gusto-Terra Madre di Torino, per promuovere un altro prodotto dell’azienda: la carne di agnello di razza Kempen Heath Sheep (Kempische Heideschaap), un presidio Slow Food. I van den Broek ne possiedono una trentina di capi e anche la loro carne finisce nello spaccio aziendale. Assieme a quella di maiale di un allevatore bio sempre di Hilvarenbeek. “Abbattiamo una quindicina di vacche all’anno e un maiale a settimana – spiega Niek – in un piccolo macello nei dintorni, che però presto chiuderà e ci toccherà cercarne un altro. Ai ristoranti non vendiamo: loro comprano solo le bistecche, ma noi vogliamo vendere tutte le parti dell’animale. Cosa penso del consumo di carne? Che bisognerebbe mangiarne di meno, ma buona e biologica. E che uno dei nostri compiti sia spiegare alla gente cosa facciamo e da dove viene il cibo che produciamo. Abbiamo anche frutta e verdure di antiche varietà”.
COME NEL DECATHLON, BISOGNA SAPER FARE BENE DI TUTTO – In proposito, Niek tira fuori una metafora sportiva: “Fare agricoltura biologica è come praticare il decathlon: bisogna saper fare bene tante cose”. Loro, ad esempio, vicino alla stalla hanno anche un orto bio, diviso in otto settori, perché la rotazione non la fanno solo per campi e pascoli, ma anche per le verdure. Quanto al far sapere le cose che fanno, usano un metodo antico ma infallibile: il passaparola. Che ha funzionato alla grande.
CORSI DI CUCINA SCELTA VINCENTE – “L’anno scorso abbiamo avuto 10 mila ospiti ai corsi di cucina, al 95% olandesi – spiega Niek -. Vengono famiglie, ma anche gruppi di dipendenti di aziende”.
Chissà, forse anche tagliare verdure e sbattere uova tutti assieme facilita il “group building” (a noi, giornalisti di 15 Paesi diversi affacendati con coltelli, fruste e zuppiere attorno allo stesso tavolo, è sembrato di sì).
Sia come sia, a Boerderij ‘t Schop ormai i corsi costuiscono ormai metà degli incassi (l’altra viene dallo spaccio aziendale, aperto anche ad altri produttori bio della zona).
Sono arrivati anche i musicisti del festival Incubate e, il giorno di un’altra manifestazione, l’annuale Farm Festival, in fattoria arrivano fino a 2.500 persone. Per accontentare tutti, nella fattoria, oltre a Cécile, Jan e Niek, lavorano una ventina di persone part-time, più sei cuochi per i corsi di cucina.
IL FUTURO E’ NEL “MALL” – Ma Niek guarda già oltre: “Mi piacerebbe aprire uno di quelli che chiamiamo shop in the shop, all’interno di un centro commerciale a Tilburg, una città qui vicino”. Altro che orticello.
*Terzo e utlimo di una serie di servizi realizzati in occasione del “Press – trip” organizzato dall’ufficio stampa e rapporti con i media della Direzione Generale Agricoltura Ue