Ricomincio da 6, dalla Svezia la storia di Maria e dei suoi formaggi
dal nostro inviato a Malmӧ Luca Angelini
Le quote latte sono finite, e adesso che si fa? La domanda si aggira come uno spettro per le stalle d’Europa, Lombardia compresa. Arga Lombardia-Liguria, su invito di Dg-Agri e della Commissione Europea, è andata a dare un’occhiata a quel che succede in Svezia.
Dove, a dire il vero, le quote non sono mai state un problema (il Paese scandinavo ha sempre prodotto meno latte della quota assegnata: in valore, un miliardo e 200 milioni di euro nel 2014, pari al 2% del valore della produzione di latte nell’Ue28), ma dove creatività e spirito imprenditoriale, tra gli allevatori (e non solo) non mancano. Abbiamo raccolto alcune storie che lo dimostrano.
MALMӦ (Svezia) – “Se vuoi imparare una cosa, puoi impararla”. La filosofia di Maria è semplice. Tanto semplice non era, semmai, la cosa che voleva imparare lei: fare il formaggio. Anche perché quando, cinque anni fa, decise di impararla, di mestiere faceva tutt’altro. Commessa, ramo imballaggi. “Ma avevo vissuto per tre anni a Ginevra e mi ero accorta che quello che davvero mi appassionava era il cibo”.
Dieci anni fa, lei e il marito Carlos hanno comprato questa casa bianca e rossa, nel verde della Svezia meridionale, una ventina di chilometri a est di Malmӧ.
Un tempo questa era una baracca per le truppe (tant’è che il caseificio artigianale si chiama “Soldattorpets Mejeri”, latteria della fattoria dei soldati). Ma solo nel 2010, da qui, hanno iniziato ad uscire formaggi.
“Nel nord della Svezia, nella contea di Jämtland, è tradizione produrre formaggi in modo artigianale – racconta Maria -. Così sono andata lassù, a Őstersund, per imparare. E poi in Francia, dove per il formaggio sono dei maestri”.
Il caseificio di Maria è un piccolo prefabbricato, di fronte allo spaccio dove vende i suoi prodotti. “L’avevano usato gli operai che hanno costruito il ponte fra Malmӧ e Copenhagen. Non serviva più, così l’ho comprato io. Per tutta l’attrezzatura abbiamo speso un milione e mezzo di corone (circa 165 mila euro, ndr). All’inizio non è stato facile, le prime volte che fai il formaggio, non sempre le cose vanno come vorresti”. Adesso, però, ci ha ormai preso la mano. Il formaggio lo fa due volte la settimana, circa 45 chili ogni volta, che fanno più o meno 4 mila chili l’anno. “Il latte lo va a prendere mio marito Carlos in un’azienda con 240 frisone a due chilometri da qui”.
Il segreto (o meglio una parte) del suo successo è proprio quello. Perché in Svezia è scoppiata la passione per quello che da noi si chiama “chilometro zero”: cibo prodotto localmente, meglio se da qualcuno che puoi vedere in faccia. Tant’è che, anche se ha un sito internet (solo in svedese e senza vendita online), Maria dice che i clienti (tra i quali anche ristoranti e piccoli negozi) li ha trovati quasi tutti con uno strumento di marketing vecchio come il mondo: il passaparola.
“Produco una mezza dozzina di formaggi, tra cui uno a pasta molle in stile Camembert, uno a pasta dura che può stagionare anche un anno e mezzo e poi due “blu”, cioè erborinati, che sono quelli che si vendono di più. Lo so, non sono tipici di qui, ma agli svedesi, a quanto pare, piacciono un sacco”.
E piace un sacco anche la sua torta di ricotta, che nel 2014 ha vinto la medaglia d’argento al campionato svedese di food-art. Insomma, gli affari, a Maria e Carlos, vanno bene. La prossima frontiera? Arrivare con i suoi formaggi dall’altra parte del ponte, in Danimarca. Nel frattempo, però, da ottobre scorso, ad accogliere i clienti in cortile, c’è un’ampia sala a vetri, dove si possono degustare torta e formaggi. “Arrivano gruppi di ogni tipo – dice Maria -. Da quelli aziendali a quelli di appassionati di gastronomia. Mi piacerebbe ci fossero più turisti, magari arriveranno”.
Il vero cruccio di Maria, però, è un altro. “Quando ho iniziato io, i piccoli caseifici in questa regione erano al massimo tre o quattro. Adesso sono almeno una quindicina. E il governo svedese ha deciso di alzare i limiti di legge sulla presenza di batteri. Così, temo che in futuro non userò più il latte crudo per i formaggi molli, ma quello pastorizzato a 63 gradi. Cosa volete farci, qui in Svezia il governo pensa di dovere dire alla gente cosa fa bene e cosa no, pensa che la gente non sia in grado di giudicare con la sua testa”.
Un peccato perché, dovessimo giudicare col nostro palato, noi ai formaggi di Maria non cambieremmo una virgola. E, a quanto pare, non siamo i soli. “Una volta ho portato i miei formaggi in Francia per farli assaggiare – ricorda orgogliosa -. E mi hanno detto “abbiamo una concorrente””.
A furia di imparare, l’allieva venuta dal Nord, insomma, ha impressionato anche i maestri.